giovedì 18 marzo 2010

Motodays, parte prima - geografia delle fiere



L’anno scorso è nata una nuova fiera delle due ruote ed è difficile dire che se ne sentisse il bisogno. L’Intermot di Colonia (in Germania) c’è negli anni pari e dovrebbe servire ai motociclisti del Nord Europa; una volta (anche quando per un po’ è stata a Monaco di Baviera) si dava il cambio con l’Eicma di Milano, che invece si svolgeva negli anni dispari e in teoria doveva far felici i motociclisti dell’Europa mediterranea. Solo che poi la Piaggio di Colaninno, che già era una bella forza di suo, si è portata a casa un pacco di marchi italiani ed è diventata una potenza: sua è stata la spinta di fare la fiera di Milano ogni benedettissimo anno.

Ma un po’ più avanti. Non più a settembre, perché con le ferie di agosto era un bel tour de force per la truppa Piaggio arrivare pronti, ma a novembre. Il bello è che però così l’Eicma, che di solito era la prima delle fiere autunnali, è diventata l’ultima e i giapponesi, che in anni floridi sono quelli che di solito portano più novità, hanno cominciato a fare tutte le loro belle presentazioni mondiali a Parigi. Eh sì, perché esiste pure una fiera a Parigi. Un padiglione e poco più, mica altro. Però a settembre, quindi prima di tutti. E allora tutti nella Ville Lumière. Solo che però è arrivata la crisi e le luci si sono spente: l’edizione 2009 del Salone parigino è saltata e fino al 2011 non se ne parla. Non importa, tanto non ci siamo sentiti abbandonati. A novembre c’è stato appunto il Salone di Milano (dove però clamorosamente non hanno partecipato due colossi come la Honda e la Yamaha); a dicembre c’è stato il Motorshow con le sfilate di hostess, veline, molte quattro e poche due ruote; a gennaio, negli stessi giorni, nelle stesse ore, nella stessa regione e quasi con lo stesso nome, ci sono state le fiere di Verona e Padova, separate dall’anno scorso per via di battibecchi che chi va a vedere le motorette non è tenuto a conoscere.

Ecco, a marzo, con le prime rondini, mancava una fiera là dove i fiori sbocciano prima, a Roma, e nel 2009 sono nati i Motodays. La cornice è quella gigante della fiera capitolina, ma i (piccoli) padiglioni occupati sono stati solo quattro: la testimonianza del secondo giorno di fiera è che l’ingresso era deserto, i padiglioni mezzi vuoti, e che buona parte dei marchi erano lì perlopiù per mano dei concessionari. Ingresso: 15 euro. Si ringraziano i chioschi con la porchetta di Ariccia e il gran bazar dei venditori di abbigliamento (tute Spyke da 290 euro, Dainese da 500, caschi da 50!).

mercoledì 10 marzo 2010

Chiamiamola pure Super Ténéré



Non dovevo essere io il nostalgico che guai toccargli i miti del passato eccetera eccetera?
Caro Massi, non sono del tutto d'accordo con la tua analisi e per una volta voglio difendere la scelta di un produttore, in questo caso la Yamaha.
Ci sono degli ottimi motivi per chiamare la nuova maxi enduro Super Ténéré e la scelta mi sembra molto meno scandalosa di altre. Mi viene in mente per esempio la Panda, anche se non è un esempio a due ruote. Ma potremmo parlare della 9 ½ che non è neppure novemezzo ma è un milledue e l'hanno battezzata così solo per avere l'assonanza con la mitica 3 ½ che invece era per davvero treemezzo. Quello che intendo dimostrare è che la Yamaha, o meglio i suoi uomini di marketing, avevano più buone ragioni per chiamarla Super Ténéré che buone ragioni per chiamarla EOFCEAPDAT (Endurona On/Off che è arrivata prima della Africa Twin). Te le spiego.

La moto è emozione, di conseguenza deve... emozionare. Se quando vedi una moto non ti emozioni nemmeno un poco, probabilmente questa moto non la sognerai perché penserai che sia noiosa e se non la sogni alla fin fine non la compri neppure. Detto questo le maxi enduro sono moto che pagano una colpa che non hanno: esteticamente sono molto meno emozionanti di altre. Lo sono sicuramente meno delle enduro professionali, delle cross, delle supermotard e delle sportive. Quindi? Quindi devono ricorrere ad altri stratagemmi.

L'emozione nei confronti di un oggetto si basa sostanzialmente su due approcci: devi portare chi ti guarda in un luogo dove non è mai stato o in un luogo dove non torna da moltissimo tempo. Sempre per procedere per esempi in casa Yamaha, direi che la R1 segue il primo concetto, la XJR il secondo.

La Super Ténéré prova a giocarsi entrambe le carte: da un lato promette di offrirti qualcosa di nuovo e tecnologico e allo stesso tempo ti fa ricordare il suo e il tuo passato glorioso. Il problema non è una ruota da 19”: se tu fossi un progettista, faresti veramente un 1.200 con una ruota da 21”? Ne guadagneresti sullo sterrato (forse), ma come sarebbe il piacere di guida (e la sicurezza) su strada ovvero il luogo dove tutti i normali acquirenti useranno la loro Super Ténéré?

Piuttosto potremmo discutere sull'opportunità della cilindrata: non credo che sia indispensabile un 1.200 cc – non dimentichiamoci che la vecchia Super Ténéré era 750 – ma tutta la concorrenza è 1.200, quindi... hanno pensato bene che fosse meglio adeguarsi. Questo segmento di mercato non lo decide la Super Ténéré, come non lo decide la Stelvio, ma lo decide la BMW GS. È con lei che le altre si devono confrontare e cercano dunque di farlo senza sfigurare a partire dalla carta, dai numeri. Presentarsi con una cilindrata inferiore potrebbe essere interpretato come un deficit o come il desiderio di voler sfuggire al confronto diretto.
Ritornando, invece, al nome ritengo la sua prima utilità sia suscitare attenzione, essere argomento di discussione e ne è riprova che noi ne stiamo (inutilmente) discutendo.

A proposito di inutilità, ma non potremmo parlarne davanti a una birra come tutte le persone normali invece di usare il blog?
E poi non abbiamo niente di più importante di cui parlare?
Vuoi dirmi che la nostra relazione è già arrivata a questo punto? Non abbiamo più niente da dirci?

martedì 9 marzo 2010

Non chiamiamola Ténéré


Le mode, in maniera ciclica e inesorabile, amano tornare per ricordarci quanto eravamo belli, eleganti e già attuali venti anni fa o, in alternativa, per farci comprendere quante poche idee abbiano i designer moderni.
Quello del revival è un trend nato nelle discoteche di periferia, sviluppatosi nel mondo della moda e poi migrato in molti altri settori tra cui l'automotive che, da dieci anni a questa parte, ha iniziato a sfornare diverse rivisitazioni di modelli storici, alcune ben riuscite, altre meno. A caso cito: VW Maggiolino (New Beetle), Mini, Fiat Cinquecento, Ducati Sport Classic, Triumph Bonneville e - ultima in ordine di tempo - Yamaha Super Ténéré.

Non sono contrario per principio a questo tipo di operazioni. Anzi, trovo che se si riesce a non scadere nell'eccesso (tipo riportare in auge i capelli di Silvano Michetti), attualizzare e migliorare un concetto vincente cercando di rinverdirne i fasti, sia una pratica che può offrire parecchi spunti interessanti. A patto che il senso dell'originale non venga stravolto al punto da non riuscire più a percepirlo.

Ed è proprio qui che a mio parere casca l'asino. La nuova Super Ténéré è una bella moto, non c'è dubbio, dotata di tutto ciò che serve per far innamorare alcune tipologie di motociclisti moderni. Ma è impossibile negare che sia lontana anni luce da ciò che la sua progenitrice ha significato in passato (vinse una Parigi-Dakar, ricordiamolo).
Se la vecchia “tenerona” lottava tra dune, rocce e tempeste di sabbia, questa new release, se vede del terriccio in mezzo all'asfalto, si spaventa e arrossisce come un'educanda. E non è solo questione di pollici della ruota anteriore (come la nuova Transalp, anche questa ha abbandonato i 21" per i 19”), ma di filosofia e di indirizzo tecnico ben preciso.

Con questo non voglio dire che questa nuova Super Ténéré sia una moto "sbagliata", per nulla! Lei è figlia del suo tempo e come tale va analizzata. Dunque, ben vengano super-sospensioni pluriregolabili, cilindrate da automobile e ammennicoli tecnologici in grado di far impallidire l'Enterprise (e che portano il peso a 261 kg), ma per favore, non chiamiamola Super Ténéré.
Quando un grande calciatore va in pensione, la società per cui ha giocato, in segno di rispetto, ne ritira il numero di maglia. Forse dovrebbe essere così anche per i nomi di quelle moto che per un motivo o per l'altro hanno visto il loro periodo di successo anni fa (come le enduro specialistiche) e che ora a causa di molteplici motivi non possono più essere riproposte per quello che erano.

Dunque, cari affezionati di RB, vi invito a proporre un nome diverso per questa nuova creatura della casa dei tre diapason.
Per dare il buon esempio, inizio io: Yamaha GS 1200.
Voi che ne pensate? Si accettano proposte.