martedì 7 settembre 2010

C'è un modo giusto per morire

Tomi muore, nel modo che tutti abbiamo visto. Faccio un giro tra i quotidiani. A cadavere ancora caldo si scatenano le polemiche, di giornalisti e postatori: nel silenzio della morte c'è un gran baccano. Le bandiere rosse, la gara che doveva essere interrotta, la MotoGP che non doveva partire, tutta colpa degli sponsor, degli spot, dello show televisivo che non si ferma neanche davanti alla morte di un ragazzo di vent'anni.
Cadono sentenze lapidarie, che si incattiviscono l'una con l'altra nel mare magnum della rete. Ogni post, editoriale o lancio di agenzia fa l'effetto di una goccia: crea un cerchio su uno specchio d'acqua. Solo che le gocce sono migliaia, e si intersecano, e la superficie d'acqua ribolle, tra giornalisti che in quel gran baccano parlano di indifferenza e postatori che lanciano strali contro il motociclismo tout court,
"uno "sport" che ha come divertimento la sistematica violazione del Codice stradale" (sic).
Io leggo, a volte le dita prudono, ma mi fermo. Cerco sempre di non abboccare a queste trappole ed evito di farmi e fare ad altri il sangue amaro buttandomi nella mischia. Adotto questo snobismo quando ho la convinzione che tanto, a fine chiacchiere, ciascuno resta della propria opinione.
Allora vado
sulla piazza di Facebook, che per me è un male necessario, ma dove posso trovare i miei amici motociclanti e dove spero di trovare finalmente un po' di umana compassione (nel senso latino del termine, di "sentire con"). La trovo, e oscilla tra il nostro solito fatalismo e qualche sentimentalismo retorico. In qualche caso, quando vedo che i post su Tomi si moltiplicano sullo stesso profilo, ho la sgradevole sensazione che qualcuno punti a fare incetta di visite e interazioni. Ma non mi piace pensar male e allora mi convinco che qualcuno, molto semplicemente, non si dà pace.
Poi mi accorgo che anche tra i non motociclanti si moltiplicano i commenti, scatenati da una notizia che è finita in prima pagina su tutti i giornali. Vengo in particolar modo colpita da una bacheca, di persona notoriamente intelligente, acuta e circondata di intellettuali sempre pronti a difendere i rom dalla cacciata dei Sarkò o la dignità della donna dalle battutacce di un Presidente, e ci vado, tanto per vedere se con la lucidità di
intellettuali non coinvolti (perché non motociclanti né appassionati di motociclismo), sanno offrirmi una nuova visione della faccenda. Scopro che il vocabolario si ripete: "ripugnante", "spregevole" e "agghiacciante" sono relativi al "giogo di una verità lucrativa", di un pubblico che voleva star lì a vedere la fine della gara, di un Valentino che ricorda come Tomi facesse tanto ridere. La gara che doveva essere interrotta, la MotoGP che non doveva partire, tutta colpa degli sponsor, degli spot, dello show televisivo che non si ferma neanche davanti alla morte di un ragazzo di vent'anni. Però non parlano delle bandiere rosse.
Allora, nonostante la delusione per post che non mi dicono nulla di nuovo ma stimolata dalla platea che preferisco pensare ricettiva, provo. Mi scuso per l'intrusione, dico che rispetto la loro ripugnanza. Provo a dire che il mondo dei piloti segue logiche a parte, che prescindono persino dalle logiche degli spot e degli sponsor. Che
oggi il giro di quattrini facilita solo il dito puntato e regala un capro espiatorio per qualcosa che forse sarebbe avvenuto comunque. Una volta, quando i piloti correvano e si ammazzavano molto più spesso e più facilmente di ora e non c'era la Mondovisione a riprenderli e per fare le gare un Campione del Mondo chiedeva le ferie all'ENEL dove lavorava e ci andava col Fiorino, il modo migliore per onorare un compagno morto era correre. Aggiungo in post scriptum due piccole considerazioni tecniche su quanto avvenuto ieri (tipo che forse c'è da chiedersi se serviva proprio una striscia d'erba sintetica dopo il cordolo e se forse 38 piloti in una manciata di secondi non siano troppi). La maggior parte dei benpensanti rende onore al mio intervento con "La madre degli ignoranti è sempre incinta....!!!!" e "Non c'è più da stupirsi di nulla...quando mancano i valori...". Poi vedo che la titolare della bacheca interviene e speranzosa tiro un sospiro di sollievo, e spero che io, i piloti, i motociclisti verremo salvati come i rom e le donne (almeno verrò salvata come donna). Poi leggo che capisce le mie considerazioni tecniche (in post sciptum) e che far continuare la gara sarebbe stato come continuare a far funzionare la Thyssen mentre gli operai morivano. "Il problema è che cosa altro si può arivare a legittimare per denaro o, peggio, per un distorto senso del dovere o una depravata concezione della professionalità". Sto male e cedo un'altra volta. Provo a dire che forse le logiche a parte sono quelle dei piloli stessi, della loro testa più che degli sponsor, ed è per questo che non si possono accostare agli operai della Thyssen. Che il rischio della morte è qualcosa con cui un pilota si confronta ogni decimo di secondo. Per SCELTA. Non credo che l'operaio faccia l'operaio perché gli piace giocare con la Nera Signora. Anche se non ci fossero i soldi e la tivù, sarebbe lo stesso. E' un modo diverso di vivere la vita e, quindi, la morte. Se avessero spento le telecamere e avessero minacciato i piloti di ritirar loro l'ingaggio, forse (dico forse) avrebbero corso lo stesso. E' il loro modo per rendere onore a uno di loro e per esorcizzare i propri fantasmi. Forse è una depravata concezione della professionalità, o forse è solo un modo diverso di vivere la morte. Dico che il mio non è un modo per difendere nessuno, ma di spiegare che forse non c'è mancanza di rispetto se accettiamo che in altre vite i parametri siano diversi.

Cito Dovizioso, due settimane fa scampato a un incidente uguale. A lui è andata bene. "A Brno ero a terra e sono stato evitato da Valentino Rossi. Quando non succede non ti rendi conto, quando c'è voglia di ottenere risultati non pensi altro ed è come se non avessi rischiato niente. Viviamo fuori dalla realtà? Più o meno sì". Alla fine riusciamo a farla finita quando, per farmi capire che hanno capito, dicono: "La stessa logica dei gatti in amore che attraversano la strada senza guardare". Dico "già".
La morte di Tomi m'ha fatto capire che la tolleranza è nei confronti di chi la pensa allo stesso modo. Anche sulla morte.


1 commento:

  1. La mia fortuna è che non devo scrivere per forza, al contrario di te, quindi posso aspettare che la grancassa smetta di dare il ritmo a chi scrive la propria convinzione inoppugnabile su come sono andate le cose.
    Una volta passato il momento, e con la folla aizzata e indignata verso un altro episodio possiamo trovarci noi pochi centauri, motociclisti e affini a espore con calma le nostre idee, confrontarle e cambiare anche opinione se chi ci parla ci convince.

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