mercoledì 10 febbraio 2010

La paura fa novanta


C’è chi ha paura del buio, dell’altezza, degli spazi chiusi. C’è chi si terrorizza per un topolino, un ragno, un’ape. Mica è un dramma. Di queste paure ha sofferto gente coi controzebedei, gente che in barba alle paranoie ha fatto grandi cose: si dice che Alessandro Manzoni avesse paura degli spazi aperti e affollati e pure di microbi(h) e pozzanghere; Hitchcock era terrorizzato dalle uova, Napoleone dai gatti; Madonna dai tuoni. Simoncelli ha paura dei film horror, Valentino dei fantasmi e Capirossi che suo figlio voglia andare in moto un giorno. Il bello delle paure è che poi ogni epoca ne inventa qualcuna nuova, tutta sua.
Che so? Negli anni Cinquanta faceva paura il cinematografo con la sua latente immoralità e i ragazzi che mettevano il braccio attorno alle spalle delle ragazze. Per non parlare del rock psichedelico, che avrebbe portato alla fine del mondo per colpa di tutta una generazione di fattoni. Oggi c'è un nuovo babao: spunta da uno schermo e si chiama Internet.
Sarà per questo concetto della rete, che sa un po’ di trappola.
Paura dei virus, degli hacker, dei cracker, delle truffe delle carte di credito, di quelli che ti rubano i dati personali, dei pedofili. C’è chi ciclicamente tira fuori che vorrebbe chiuderlo in nome della salvaguardia di beni superiori, dal diritto d’autore alla salute dei minorenni. A ‘sti ragazzi “farebbe bene un periodo di moratoria, in cui si chiudano loro YouTube, le chat, le discoteche, l’uso di Internet e dei cellulari”: parola di Francesco Alberoni sul Corsera non più tardi di un annetto fa.

Poi c’è anche chi vuole Internet nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco assieme alle Dolomiti e alla Statua della Libertà, e lo sta pure candidando al Nobel per la Pace 2010 dopo Barack Obama.
Bon, gli uni e gli altri son tutti ragionamenti nobili che però dimenticano, oltre al fatto che magari invece di chiudere Internet sarebbe meglio aprire gli occhi dei genitori, che la rete è solo uno strumento, quindi non è né buona né cattiva in sé. La cosa diventa ancora più curiosa se il bene superiore da tutelare diventa la sopravvivenza dei giornalini di motorette, a cui peraltro vogliamo tanto bene non foss’altro perché ci siamo cresciuti, ci abbiamo sempre lavorato e continuano a dare da mangiare a tanti amici. Ci sono colleghi (?) della carta, però, che hanno paura della rete, perché sarebbe pericolosamente popolata di gente che dice la sua, persino altri giornalisti che dicono la loro. La cosa curiosa è che sembra che la colpa sia del mezzo. Eppure a noi sembra così chiaro che non è Internet a dare la verità, come non lo è la carta. Non è che su una rivista per forza ci debba essere il Vangelo solo perché costa di più farla (non è che le voci di spesa di grafici, fotolito, carta, stampa, distribuzione, resi, macero – che sono il grosso della spesa ben più dei giornalisti e dei loro giretti in pista – accreditino una prova o un’inchiesta). Così come non basta avere facile accesso a un blog o a un forum per dire per forza qualcosa di intelligente. La cosa ancora più strana, poi, è che questi fortunatamente sparutissimi e impauriti colleghi della carta il sito ce l’hanno poi pure loro, e ci raccolgono la pubblicità pure lì, e quindi mi verrebbe da pensare che, per coerenza, sul sito scrivono sciocchezzuole – perché la rete è una trappola, ricordate - per tenere invece sul giornale le cose intelligenti. A rigor di logica, dovrebbe essere così. Allora mi sa che è in quella rete, mal usata, che non bisogna cadere. Che gran confusione.
Alla fin fine forse la morale della storia è che “la paura uccide la mente”, come direbbe Frank Herbert. Come diremmo invece noi di Real-Bikes, la paura mette a novanta.

Photo credit arka D@flickr.com

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