sabato 15 maggio 2010

Dritti a North West - giorno 5

Quello che si vede alla North West non si può vedere altrove. E non mi riferisco tanto all'aspetto agonistico che, per quanto mi riguarda, passa per certi versi in secondo piano, almeno per chi, come me, arriva qui la prima volta. Ciò di cui parlo, e che rimane impresso proprio qui dietro agli occhi, è l'esperienza, la socialità, il clima di festa che congiunge l'evento sportivo con la sagra paesana passando per un entusiasmo e un pathos inspiegabili con la razionalità.
La North West non è la sfida incosciente di alcuni pazzi all'oscura falciatrice, la North West è il tributo di migliaia di persone alla velocità e alle due ruote.

L'Irlanda del Nord non ha una tradizione di turismo e fino a qualche anno fa non era tra le mete più ambite. Forse è anche questo a suscitare, nella gente di qui, un grande spirito d'accoglienza nei confronti degli stranieri. Sono orgogliosi del proprio Paese e sono orgogliosi di poterlo mostrare e raccontare.

La gara si è svolta in maniera perfetta, senza incidenti e senza che le frequenti piogge rovinassero lo spettacolo. Soltanto uno spettatore, prima ancora del via della prima gara in programma, la SBK, ha deciso di far ritardare il tutto scivolando da una scogliera. Anche in questo caso, però, l'organizzazione ha dimostrato prontezza e competenza. Lo spiegamento di forze attorno alla North West fa impressione e nulla (o quasi) pare lasciato al caso. Nonostante ci siano quasi duecentomila spettatori, non si ha mai il senso né di confusione né di pericolo e tutto si svolge nella maniera più rilassata. L'unico inconveniente è rappresentato dal traffico, per forza di cose paralizzato.

Tra il pubblico, c'è chi si attrezza in giardino, con palchetti improvvisati, per vedere meglio le moto che sfrecciano a duecento all'ora davanti al proprio cancello e c'è chi si accomoda in tribuna, senza muoversi di un millimetro per tutto il giorno. In ogni caso non c'è mai confusione, benché ci sia una massa impressionante di gente ovunque. Anche i chioschi non sono presi d'assalto: c'è la fila.
Incredibile come anche chi alza il gomito riesca a mantenere un atteggiamento civile; un po' barcollante, magari, ma civile. E tutti attaccano bottone con tutti e a ben pochi importa se il mio inglese è zoppicante perché il desiderio è quello di comunicare, di interagire.

I piloti girano tra la gente che visita i paddock, chiacchierano tra loro, si scambiano opinioni mentre i meccanici si scambiano cacciavite o attrezzi vari: ci si aiuta, perché si è tutti lì per lo stesso motivo e con la stessa voglia. C'è rivalità, è ovvio, ma c'è anche solidarietà e correttezza. E quando scatta il semaforo, la gara è vera. Alcuni di loro corrono praticamente in ogni classe. Ad esempio Micheal Dunlop, figlio di Robert, partecipa a tutte le categorie ad eccezione della 125. Ma non è il solo: la decina di piloti che punta alla vittoria e ad entrare nella storia delle corse su strada, è vorace di gare perché più partenze significa più possibilità di vincere e più possibilità di essere riconosciuto e ricordato. Un po' come gli eroi della Grecia antica.

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